La fine della guerra coincide in Francia con la caccia ai collaborazionisti: accuse poi rivelatesi infondate sfiorano Simenon, che preferisce trasferirsi negli Stati Uniti, prima in Texas poi nel Connecticut, mentre il fratello Christian, condannato a morte in contumacia per collaborazionismo, ripara, su consiglio di Georges[13], nella Legione straniera francese, ove troverà la morte in combattimento nel 1947 nella guerra d'Indocina: una morte di cui la madre - con la quale, come si è detto, Georges Simenon aveva un difficilissimo rapporto - lo riterrà sempre responsabile. Negli Stati Uniti conosce Denyse Ouimet, che diventerà la sua seconda moglie e madre di tre suoi figli (John, Marie-Jo e Pierre). Torna in Europa negli anni cinquanta, prima in Costa Azzurra e quindi in Svizzera, a Epalinges nei dintorni di Losanna. Nel 1960 presiede la giuria della tredicesima edizione del festival di Cannes: i film in concorso quell'anno sono memorabili, da A casa dopo l'uragano di Minnelli a L'avventura di Antonioni, da La fontana della vergine di Bergman a Violenza per una giovane di Buñuel. Tra i fischi del pubblico[14], vengono assegnati il Premio della giuria al film di Antonioni e la Palma d'oro a La dolce vita di Federico Fellini; tra Simenon e il regista riminese nasce una lunga e duratura amicizia. Dopo pochi anni Simenon si separa da Denyse Ouimet e, in seguito a una piccola caduta, assume una domestica perché lo accudisca nelle faccende domestiche: è Teresa Sburelin, di origini friulane, che gli resterà accanto fino alla sua morte.
Simenon era anche noto per essere un "playboy" e per tradire spesso le sue compagne ufficiali, soprattutto nella seconda parte della sua vita: affermava infatti di aver avuto rapporti sessuali occasionali - spesso più di una volta al giorno - con circa diecimila donne[15]; a chi si mostrava scettico su questa cifra, ritenendola una vanteria o una grossolana esagerazione, rispondeva (come nel celebre epistolario con l'amico Federico Fellini, il quale cercava fonti d'ispirazione per il suo film su Casanova), spiegando che la stragrande maggioranza di queste donne, circa ottomila, erano prostitute e che anche le altre erano quasi tutte di estrazione sociale inferiore alla sua: domestiche, ballerine (tra cui una giovanissima Nadia Cassini), spogliarelliste e cameriere[16][17]. Ripeteva che "non si tratta assolutamente di un vizio, non sono un maniaco sessuale, ma sento il bisogno di comunicare", e che fare sesso per lui era come "respirare"[17]. Lo scrittore era inoltre un fumatore accanito e un forte bevitore[16].
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Uno dei film segnalati dal Maestro Marco Gamuzza e che ricorda di aver visto con piacere da ragazzo. Questa volta il protagonista pratica Taekwondo (arte marziale coreana) e tutto è incentrato su un importante torneo che potrebbe cambiare la sua vita.
I VESTITI RACCONTANO tira fuori dall'armadio uno scrigno di storie legate ai capi di abbigliamento di persone molto diverse tra loro. Un paio di stivali simbolo della sopravvivenza, un vestito che rappresenta la guarigione, un'uniforme che riafferma un'identità: questa serie ripercorre alcuni momenti della vita delle persone attraverso i loro vestiti più amati. Divertenti, tragici, commoventi e gioiosi, gli episodi sono divisi per tema e includono interviste a personaggi della cultura e narratori di talento. Le sequenze animate e i filmati di repertorio contribuiscono a intrecciare tra loro i fili di queste vite. I VESTITI RACCONTANO è un documentario originale Netflix in associazione con Emily Spivack, Jenji Kohan, Tremolo Productions e Tilted Productions.
Dagli umani che hanno realizzato il film premio Oscar Spider-Man: Un nuovo universo e The LEGO Movie arriva I Mitchell contro le macchine, una commedia d'azione animata su una famiglia come tante che si trova ad affrontare la più grande prova della sua vita: salvare il mondo da un apocalittico attacco di robot. Un'inezia, vero? Tutto ha inizio quando la creativa incompresa Katie Mitchell è ammessa nella scuola di cinema dei suoi sogni. La ragazza non vede l'ora di lasciare la casa dell'infanzia per incontrare "la sua tribù", ma il padre amante della natura insiste per accompagnarla e fare così un ultimo viaggio in auto, assolutamente non imbarazzante o forzato, con tutta la famiglia. Ma quando le cose sembrano non poter andare peggio, i Mitchell si ritrovano improvvisamente nel bel mezzo di un attacco di robot! Dagli smartphone ai robot aspirapolvere fino ai malvagi Furby, qualsiasi oggetto è impiegato per catturare ogni umano sul pianeta. Salvare l'umanità toccherà quindi a Katie, al padre, alla mamma ottimista Linda, al bizzarro fratellino Aaron, al carlino cicciotto Monchi e a due robot amichevoli e sprovveduti. Diretto da Michael Rianda (Gravity Falls), prodotto dai premi Oscar Phil Lord e Chris Miller, assieme a Kurt Albrecht, e con le voci originali di Abbi Jacobson, Danny McBride, Maya Rudolph, Beck Bennett, Fred Armisen, Eric Andre e il premio Oscar Olivia Colman, I Mitchell contro le macchine insegna ad accettare le proprie unicità, imparando che cosa significa essere umani in un mondo sempre più dominato dalla tecnologia, ma anche ad apprezzare il valore dei legami con le persone che più contano quando un imprevisto cambia le carte in tavola.
Con la direzione della fotografia di Vladan Radovic, le scenografie di Andrea Castorina, i costumi di Daria Calvelli e le musiche di Nicola Piovani, Il traditore viene così raccontato dal regista in occasione della partecipazione del film in Concorso al Festival di Cannes 20019: "Naturalmente sono contento per l'invito a Cannes. Il concorso è una gara e posso solo accettarla cercando di fare il più bel film possibile, correndo freneticamente perché c'è veramente poco tempo. È un film ancora diverso da tutti i precedenti, forse assomiglia un po' a Buongiorno, notte perché i personaggi si chiamano coi loro veri nomi, ma lo sguardo è più esposto, all'esterno, i protagonisti sono spesso in pubblico, per esempio nel gran teatro del Maxiprocesso di Palermo e in altri teatri di altri processi con un copione diverso, pur essendo i personaggi spesso ripresi a distanza ravvicinata, trascurando però quei tempi psicologici, quelle nevrosi e psicosi "borghesi" che sono state spesso la materia prima di molti film che ho fatto in passato. Il traditore è anche un film civile (o di denuncia sociale come si diceva una volta) evitando però ogni retorica e ideologia. Ho scoperto infine in questo film, sempre da dilettante, il siciliano, lingua meravigliosa spesso storpiata, ridicolizzata, caricaturizzata anche dal nostro cinema (e televisione)".
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